L’Islam viene spesso ridotto in Occidente a pochi stereotipi, e così sfugge a volte il dato che solo il 20% dei fedeli musulmani nel mondo sono arabi, mentre la maggioranza si trova invece nei paesi asiatici, Indonesia e Paesi del subcontinente indiano in testa. Sfatare luoghi comuni, colmare lacune nella letteratura sui Paesi asiatici musulmani: questi gli obiettivi dei due volumi presentati a Roma il 21 febbraio scorso presso il Pontificio istituto di studi arabi e d’islamistica (Pisai), di Paolo Nicelli e Francesco Zannini. Intitolati rispettivamente L’Islam nel sud-est asiatico (2007, pp. 288, €16), e L’Islam nel cuore dell’Asia – Dal Caucaso alla Thailandia (2007, pp. 260, €15), sono entrambi a cura delle Edizioni Lavoro, casa editrice della Cisl.
Nella tavola rotonda tenuta dagli autori assieme a Miguel Guixot del Pisai ed Emanuele Giordana, direttore di “Lettera 22”, si è messa in evidenza soprattutto la grande varietà di modi di vivere e di praticare l’Islam nei diversi Paesi dell’Asia musulmana. Il professor Zannini si è soffermato innanzitutto sull’Afghanistan, Paese lontano da noi geograficamente, ma che le vicende del terrorismo e delle missioni di pace hanno portato alla ribalta della cronaca mondiale. In Afghanistan, ha sottolineato Zannini, si fronteggiano due visioni dell’Islam distinte e contrapposte: quella tradizionalista, e quella integralista-fondamentalista. Il paradosso, evidenziato dal docente di arabo e islamistica, che ha vissuto per oltre un quindicennio nel subcontinente indiano, è che tra le due, quella integralista è la più “occidentale”, nel senso che i talebani fanno della religione una ideologia, una dottrina di legittimazione per la lotta politica e il mantenimento del potere, e ciò è molto occidentale.
E’ possibile, dunque, parlare di Islam come fattore socio-culturale unificante per l’Afghanistan? Sì e no, è la duplice risposta di Zannini. Sì, perché c’è un modo di praticare l’Islam nel quotidiano, comune alla maggioranza della popolazione afghana, in particolare un “afflato afghano del sufismo”. No, perché qui, più che in altre nazioni asiatiche, molto forte è ancora l’elemento tribale, e le varie tribù che ancora oggi si spartiscono l’Afghanistan si differenziano anche per la visione socio-politica dell’Islam. Questo ha radici storiche: se i musulmani del subcontinente asiatico hanno conosciuto, anche per contrapposizione, l’elemento unificante della colonizzazione britannica, e sono stati abituati a confrontarsi con le altre fedi e culture, ciò non è avvenuto in Afghanistan: il Paese ha saputo resistere fieramente nei secoli alle dominazioni straniere, ma soffre oggi di mancanza di “anticorpi” per rapportarsi alla globalità e alla modernità.
Tutt’altra storia quella della Malesia, raccontata da padre Paolo Nicelli, docente universitario e missionario del Pontificio istituto missioni estere in Asia. Com’è arrivato l’Islam nel sud-est asiatico, e in particolare in Malesia, dove oggi rappresenta il credo di circa il 60% della popolazione? L’intervento di Nicelli ha ripercorso la progressiva penetrazione della fede musulmana in questo Paese, nei primi secoli dopo l’anno 1000, attraverso l’arrivo di mercanti-missionari, soprattutto dal subcontinente indiano, che qui stabilirono basi commerciali e rapporti con la popolazione locale. Fu questa la fase di proposizione, e non di imposizione, della religione islamica. Poi, attorno al XIV secolo, iniziarono le prime conversioni di regnanti locali, e i mercanti-missionari acquisirono anche la funzione di consiglieri politici dei sovrani neo-convertiti.
Si assiste allora alla fase di istituzionalizzazione dell’Islam, in cui alle guerre di espansione dei regni musulmani si accompagna l’islamizzazione delle popolazioni conquistate, in un momento di crisi delle altre fedi e dei regimi ad esse legati. E che cos’è che, alla fine, provoca la conversione di massa al nuovo credo? Padre Nicelli è convinto che la risposta è da cercarsi innanzitutto nelle caratteristiche della fede musulmana in sé, oltre che nelle problematiche politiche, sociali ed economiche. L’Islam ha apportato ai Paesi asiatici, come Malesia e Indonesia, una dimensione unificante ed universalistica, permettendogli di relazionarsi efficacemente all’internazionalità.
Guai dunque ad immaginare l’Islam come un qualcosa di monolitico: in ogni nazione si assiste a differenti e problematiche combinazioni tra etnia e religione, tra fede e diritto, e in praticamente ogni Paese musulmano esiste un rapporto conflittuale tra minoranze integraliste e maggioranze moderate. Spesso sono le ultime che sopportano le conseguenze nefaste delle azioni delle prime, ed avvertono con disagio anche la crescente criminalizzazione della loro religione da parte dei non-musulmani.