Bruxelles – Lo scorso 1° ottobre è entrato in vigore l’accordo di liberalizzazione degli scambi di prodotti ortofrutticoli e ittici tra il Regno del Marocco e l’Unione Europea, siglato, dopo il parere favorevole (pur con molti voti contrari, provenienti in particolare dagli eurodeputati di Italia, Spagna e Grecia, i paesi più esposti in termini commerciali agli effetti dell’accordo) del Parlamento Europeo dello scorso febbraio.
Secondo l’accordo, i dazi doganali attualmente in vigore sia per i prodotti in entrata che in uscita dai rispettivi mercati verranno gradualmente ridotti per le esportazioni europee, e immediatamente aboliti (rappresentano attualmente il 55% del valore) quelli sulle importazioni dal Marocco, con un duplice effetto: da un lato, rendere le merci africane di facile accesso economico per i paesi europei, e da un lato deprezzare, con ovvi riscontri negativi, i prodotti provenienti dai paesi del Mediterraneo europeo.
Le possibili ripercussioni sulle merci italiane hanno spinto, già da febbraio e anche dieci giorni fa, le associazioni che fanno capo agli agricoltori a critiche severe nei confronti dell’apparato istituzionale europeo. Per Coldiretti, Ciao, Copagri e Confagricoltura, infatti, il dimezzamento dei prezzi delle merci europee (le arance da 35 a 18 centesimi/kg, i limoni da 30 a 15 e le zucchine da 90 a 40) porterà alla fine, progressiva e inesorabile, del mercato ortofrutticolo siciliano, che da sempre trova negli agrumi un punto di riferimento fondamentale, e che già da anni si scontra con la grande produzione del sud della Spagna, zona climaticamente simile alle estreme regioni meridionali italiche.
Per i paesi del centro e nord Europa, nonché per il Marocco stesso, questa liberalizzazione degli scambi rappresenta un nuovo inizio, in un periodo nel quale il risparmio sull’alimentazione e le opportunità di lavoro rappresentano una manna piovuta dal cielo. In un comunicato di alcuni mesi fa, infatti, si legge che per il Parlamento l’accordo «svolgerà un ruolo chiave per lo sviluppo economico e la stabilizzazione del Marocco e creerà nuove opportunità per l’industria agricola europea».
Polemiche congiunte, invece, dai parlamentari europei di Pd e PdL, che accusano la Germania di aver favorito la firma di un accordo che danneggia proprio quei paesi, come Italia e Spagna, da tempo al centro di difficoltà economiche, e che subiranno ulteriori rallentamenti a causa dell’accordo.
In Marocco, tuttavia, la fine dei dazi doganali sulle merci è stata accolta favorevolmente: dopo le grandi manifestazioni di piazza nel corso della Primavera araba, che sebbene in tono minore hanno provocato la morte di diversi manifestanti, e le moderate riforme costituzionali concesse dal re Mohammed VI, noto per le sue posizioni abbastanza democratiche, questa ennesima apertura ai mercati occidentali potrà aiutare lo sviluppo di una economia estremamente debole.
La nazione soffre infatti di criticità economiche che, sebbene in tono minore rispetto agli anni scorsi, impediscono uno sviluppo costante, che possa permettere di attaccare le sacche endemiche di povertà e disoccupazione. Sul lavoro, inoltre, si sono concentrati i dubbi politici sulla sostenibilità dell’accordo: i dati preoccupanti sullo sfruttamento della manodopera minorile, che coinvolge il 2,5% dei minori tra 7 e 15 anni (di cui il 53% nell’agricoltura e nel settore ittico), renderebbe necessario, per i più contrari all’accordo, un protocollo etico per i prodotti esportati dal Marocco in Europa.
A farla da padrone, inoltre, sono le critiche sul riconoscimento delle indicazioni di qualità (Igt e Igp) dei prodotti europei, e italiani nello specifico: con una quantità di prodotti agroalimentari maggiore, infatti, c’è il rischio che le eccellenze come l’Arancia Rossa di Sicilia e il Limone di Siracusa possano venire soppiantati da equivalenti di qualità nettamente inferiore, ma economicamente concorrenziali.
L’Europa è sin dai tempi del protocollo di Barcellona proiettata verso l’aria mediterranea, e l’apertura ai mercati emergenti può creare opportunità da ambo le parti, ma la tutela e la difesa del mercato interno è fondamentale, ma da Bruxelles sembrano poco sensibili in merito.