(Il Gazzettino)
La crisi economica rimette in moto l’immigrazione. Non solo quella verso i posti dove le difficoltà si dovrebbero sentire meno, ma anche quella di ritorno. E così molti stranieri, soprattutto nordafricani, che hanno messo radici nel Trevigiano ormai da vent’anni, adesso sono pronti a riprendere la valigia. «Il 20 per cento di quella che era la comunità marocchina nella Marca è già andato via – rivela Abderrahmane Kounti, presidente dell’associazione Atlas e mediatore culturale nel carcere di Santa Bona – ma se si potesse subito recuperare almeno una parte dei contributi pensionistici versati in tutti questi anni di lavoro se ne andrebbe almeno l’80 per cento».
Praticamente un azzeramento del processo di immigrazione cominciato con i viaggi della speranza già prima dell’inizio degli anni Novanta. Possibile? «Chi è rimasto senza un lavoro o ha fatto tornare i famigliari in Marocco o ci è tornato lui stesso, visto che il Paese è in via di sviluppo e dà molte opportunità garantite da leggi che favoriscono il rientro, mentre altri sono andati verso il nord Europa alla ricerca di nuove possibilità – precisa – e oggi quasi tutti i marocchini senza figli, o con bambini piccoli, seguirebbero una di queste strade, ma serve una spinta per favorire il processo».
Trovare una formula, però, non è facile. «Si potrebbe pure accettare di recuperare una via di mezzo rispetto al monte dei soldi versati negli anni dai lavoratori immigrati, come succede altrove – è il suggerimento del mediatore – mentre offrire un contributo da 2mila euro, come aveva proposto qualche Comune tempo fa, non sta né in cielo né in terra». Insomma, con questa condizione, senza salti nel vuoto, una buona fetta della comunità marocchina sarebbe pronta a rispondere all’appello lanciato da don Canuto Toso, fondatore dell’associazione “Trevisani nel Mondo”, che giusto una settimana fa aveva invitato chi è riuscito a mettere da parte qualche soldo a tornare a casa per dare una mano al proprio Paese d’origine.
Ancora prima delle questioni dell’Inps, però, bisognerebbe risolvere quelle legate alla cosiddetta seconda generazione che non ha alcuna intenzione di andare in Marocco, magari per la prima volta. «Qui servirebbe un sostegno per le famiglie con figli che non sono più bambini ma che non sono ancora adulti, perché quelli piccoli si possono integrare facilmente mentre quelli grandi sono liberi di scegliere – conclude Kounti – certo l’obiettivo non è quello di risolvere il problema creando nuovi stranieri che in Marocco non si sentirebbero a casa loro».